Cerca nel blog

lunedì 14 settembre 2015

Altro fuori tema: racconto Astrodetective



Anche questa autopromozione non c'entra col tema fondamentale del blog, ma mi faccio ancora pubblicità per quest'altro mio racconto edito da Wizards & Blackholes, inserito in una raccolta di cinque racconti ispirati alla ISS la Stazione Spaziale Internazionale e agli astronauti che ci hanno vissuto.

Questo è il link:
http://www.wizardsandblackholes.it/?q=ISS

ISS - I.ncredibili S.egreti S.tellari di Chiara Cini, Salvatore Di Sante, Michele Pinto, Luca Salmaso, Teresa Regna - (copertina di Michele Scarpone)
Da sempre gli scienziati prendono ispirazione dai romanzi di fantascienza per le loro invenzioni. Con questa raccolta cinque autori di Science-Fiction prendono ispirazione dal lavoro degli scienziati per i loro racconti.
In particolare al centro della scena troviamo la Stazione Spaziale Orbitante, i suoi occupanti italiani, la scoperta di nuovi pianeti, l'orto spaziale, la tecnologia indossabile e molto altro.
Fantastici pomodori spaziali sono al centro di "Astrodetective" di Luca Salmaso. Le implicazioni di una chiavetta USB con all'interno documenti riservati vengono raccontate da Teresa Regna in "Diario di Bordo". Un poco simpatico ragno marziano è il protagonista de "L'ultima missione della ISS" di Salvatore di Sante. Un carillon regalato dalla madre ad una astronave è al centro di "Dialogando tra le stelle" di Chiara Cini. Una ragazza maniaca di informatica e del suo cellulare intercetterà un misterioso segnale dalle stelle in "Debby" di Michele Pinto.
Dedicato a chi lo spazio lo ha vissuto.
Scheda
Titolo: I.S.S. - I.credibili S.egreti S.tellari
Autori: Chiara Cini, Salvatore Di Sante, Michele Pinto, Luca Salmaso, Teresa Regna
Copertina: Michele Scarpone
ISBN: 978-88-99147-37-2
Formato: epub, mobi e pdf
Prezzo: 1,99€ (0,99€ fino al 9 ottobre 2015)
Lunghezza a stampa: 90 pagine
Genere: Fantascienza
Recensioni: Anobii, Goodreads, Bookville, Booklikes e Zazie
Compralo subito:
Lo trovi anche nella tua libreria di fiducia:
Omniabuk, Amazon, IBS, Google Play, Kobo, iBooks, Mediaworld, Libreria Ebook, BookRepublic, Book University, 9am...
Novità: disponibile anche cartaceo su Lulu a 7,99€ (+ imposte, + spedizione)
Support independent publishing: Buy this book on Lulu.
Clicca qui o manda una mail a info@wizardsandblackholes.it chiedendo di iscriverti alla newsletter. Ti avvertiremo all'uscita di ogni nuovo libro.

giovedì 3 settembre 2015

La creazione


Trattando di argomenti di frontiera, non c'è solo la scienza, la cosmologia o la fisica quantistica. Può capitare di imbattersi in concetti e filosofie davvero arditi e così profondi da togliere il fiato.
Questo bellissimo articolo apre l'orizzonte della mistica ebraica sulla creazione del mondo e di come possa conciliarsi con la libertà e con il male e la sofferenza...


 

Quando Dio
trattenne il fiato

di Luca Miele
"Come produsse Dio il mondo, come lo creò? Come un uomo trattiene il respiro, e si contrae in se stesso, in modo che il poco possa contenere il molto, così anche Dio contrasse la sua luce di una spanna, e il mondo rimase come tenebre". Questo brano del xiii secolo contiene un idea che sarà fondamentale nell'intera storia della mistica ebraica:  quella della contrazione o ritiro (tzimtzum) di Dio, un movimento all'interno della divinità - simile a un respiro cadenzato - che sarebbe più originario della stessa creazione.
Prima di procedere all'esame dello tzimtzum - e della dottrina di cui è un'articolazione - dobbiamo interrogarci sul ruolo assolto dalla mistica. Si tratta di un fenomeno in qualche modo solo residuale e astorico, tale da rimanere sostanzialmente estraneo al corpo della tradizione ebraica? O, al contrario, vi è saldamente intrecciato? È nota la posizione di Gershom Scholem, a cui va il merito di aver spiegato la Kabbalah:  la mistica è "una forma legittima a cui gli ebrei hanno fatto ricorso per comprendere se stessi e il mondo esterno, una forma che esprime le loro esperienze religiose e le sue metamorfosi storiche, ma pure le sue crisi mortali o portatrici di vita". Queste risposte in qualche modo "illuminano il senso dell'Esilio e della Redenzione, collocando la condizione storica unica di Israele in un quadro più ampio, addirittura cosmico:  quello della creazione".
Un punto rimane però irrevocabilmente fermo:  "Mentre le religioni anteriori o vicine, affermano una unità panteista tra Dio, il cosmo e l'uomo, l'ebraismo ha scavato un abisso tra queste tre sfere" (Pierre Bouretz). Il monoteismo rompe la sacralità del còsmos greco, il suo eterno ripetere l'identico, per inaugurare la storia, luogo del rischio e del tempo.
Allora la torsione che la Kabbalah produce è interna a un altro paradigma fondamentale dell'ebraismo. "Il messianesimo - scrive Scholem - è alle sue origini e per sua natura la teoria di una catastrofe. Questa teoria mette l'accento sull'elemento rivoluzionario e cataclismatico nella transizione da ogni presente storico al futuro messianico". La Kabbalah attenua l'elemento catastrofico con l'idea di riparazione, che introduce la possibilità di una restaurazione (tikkùn) della rottura iniziale:  prende così corpo una concezione della redenzione in qualche modo "progressiva", per gradi successivi.
È stato Isaac Luria (1534-1572), a introdurre, o meglio a sistematizzare, lo tzimtzum nel quadro di una teoria quanto mai complessa. Luria complica lo schema "emanazionista", che aveva dominato fino ad allora tra i cabalisti per i quali "dall'abbondanza del suo essere, dal tesoro racchiuso in Lui, Dio ha "emanato" le Seriot":  è attraverso "queste luci in Lui" che "Egli manifesta se stesso esteriormente". Luria invece fa precedere a questa manifestazione - affinché una cosa diversa dalla divinità possa venire in essere - un movimento di ritiro in se stesso di Dio. Nella divinità si "conficca" così questo "spasmo" di esilio, di autolimitazione.
Come ha scritto David Banon, "la dottrina luriana è di una complessità estrema:  possiamo ricondurla a quattro momenti fondamentali, momenti che sono incastonati nei suoi concetti chiave:  lo tzimtzum, ritrazione, concentrazione; la shevirà, la rottura dei vasi; il tikkùn, la riparazione o restaurazione dei mondi, e il ghilgùl, la metempsicosi o trasmigrazione delle anime.
"Nella teoria di Luria non c'è il concetto di emanazione. Il primo momento è la ritrazione (tzimtzum) dell'En Sof, dell'Infinito. L'En Sof si ritira verso se stesso. È dunque in una interiorizzazione, in un ritiro o una ritrazione dell'essere nel suo essere che si trova il punto di partenza della creazione. È la capacità di ritrazione che permette il processo di apparizione-emergenza del mondo. Senza tzimtzum non c'è creazione poiché Dio, per definizione, riempie "tutto" lo spazio. La creazione è dunque una sorta di esilio in quanto Dio si ritira dal suo essere e si rinchiude nel suo "mistero".
"È solo dopo avere effettuato lo tzimtzum che l'En Sof si volge verso l'esterno inviando un "filo" o un "getto" di luce - una linea, un raggio (qav) - del suo essere verso lo spazio primordiale chiamato tehirù prodotto dallo tzimtzum ed è così che si formano le sefiròt. Questo raggio, che appartiene alla modalità della misericordia, esercita una funzione catartica penetrando e focalizzando le forze del rigore che permangono nello spazio primordiale assieme al residuo della luce infinita (il reshimù)".
Questa dottrina, che "sbalza" Dio dall'immobilità, che conferisce movimento, dinamismo al suo essere, è in qualche modo solidale con il Dio vivente biblico. Come attesta l'autoproclamazione del Nome in Esodo (3, 14) - declinato nell'originale ebraico con un doppio futuro - il Dio vivente "manifesta la propria solidarietà con l'esperienza umana del tempo, sul fondale di una imprevedibilità dell'avvenire" (Pierre Bouretz). Le parole "Io sono colui che sono" non hanno infatti il significato "dell'astratto essere, né tanto meno di una pura esistenza, bensì di un accadere, di un divenire, di un esserci, e soprattutto, di un essere presente" (Salvatore Natoli).
Se questa è l'anatomia del concetto di tzimtzum - l'idea di un esilio, di un contrarsi di Dio per consentire l'accadere del mondo - tale dottrina riemerge singolarmente in alcune delle figure più significative del pensiero ebraico del Novecento. L'esempio più trasparente di questa coincidenza è rintracciabile nell'opera di Simone Weil, in particolare quando la pensatrice francese traccia il tema dell'abdicazione di Dio. Nei Quaderni la Weil scrive:  "La creazione stessa è contraddizione. È contraddittorio che Dio, che è infinito, che è tutto, a cui non manca nulla, faccia qualcosa che è fuori di Lui, che non è Lui, pur procedendo da Lui". Da questa contraddizione, da questo patire, Weil ricava "il concetto costitutivamente aporetico, di "decreazione":  una presenza che si propone nella modalità dell'assenza, un sì all'altro espresso dalla negazione di sé, un atto coincidente con il proprio ritiro" (Roberto Esposito).
Analogamente Hans Jonas disegna, in Il concetto di Dio dopo Auschwitz, l'immagine di un Dio "sofferente" fin dall'istante della creazione del mondo e, più ancora, dopo la creazione dell'uomo:  un Dio che rimane eternamente "in divenire", un Dio "preoccupato":  soltanto "l'autolimitazione" del principio divino "apre lo spazio per l'esistenza e l'autonomia di un mondo".
Una traccia dello tzimtzum è presente anche nell'opera di Andrè Neher, L'esilio della parola:  la storia del mondo e dell'umanità - vi si legge - "è marcata dal segno dell'insicurezza radicale". Il Dio di Neher è il Dio del silenzio, più che della Parola, "perché se Dio fosse il Dio della Parola ci accecherebbe con la sua luce. Dio è il Dio del silenzio, perché solo il silenzio di Dio è la condizione del rischio e della libertà". Un Dio eternamente diveniente, sempre aperto alla relazione, è anche il Dio che emerge dalle pagine de Il Sabato di Abraham J. Heschel:  "Il Sabato non rappresenta una sostanza ma la presenza di Dio, la Sua relazione con l'uomo. Il Sabato è la presenza di Dio nel mondo, aperta all'anima dell'uomo".


( da L'Osservatore Romano 16 gennaio 2010)

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2010/012q04a1.html